Know how e tutela penale (Cass.n.16975/2020)

La nuova portata della tutela penale in tema di “know-how”

L’evoluzione tecnologica sta progressivamente ridefinendo le esigenze regolatorie e di tutela del patrimonio d’impresa, inteso come insieme dei beni fisici, dei processi, delle tecniche e delle conoscenze che garantiscono la competitività e la stabilità nel mercato. L’evoluzione digitale e il conseguente ammodernamento dei processi industriali hanno contribuito a rendere rarefatto e complicato il prospetto dei beni e delle conoscenze rientranti nella nozione patrimonio d’impresa, essendosi questi distaccati progressivamente dal concetto di materialità.

É in questo contesto che il “know-how”, inteso come l’insieme delle conoscenze, tecniche o delle prassi applicate nei processi di sviluppo, aquisisce sempre più rilevanza a fianco dei tradizionali diritti titolati, ovvero quelli protetti tradizionalmente protetti da marchio o brevetto.

Oltre a ricevere attenzione in ambito privatistico-industrialistico, secondo i criteri definitori del “segreto commerciale” a norma dell’art.98 del Codice della proprietà Industriale, il “know-how” viene in rilievo anche in ambito penale, ed in particolare all’interno di fattispecie come quella di cui all’art.623c.p. che punisce la “Rivelazione di segreti scientifici o industriali”.

Il Know-how, così come delineato in precedenti pronunce della Cassazione relative all’art 623 c.p. , può essere definito come un patrimonio di conoscenze, tecniche, prassi organizzative e metodi adottati dall’impresa, suscettibili di valutazione economica e funzionali alla “costruzione, l’esercizio, la manutenzione di un apparato industriale” (Cass.n.25008/2001), nonchè ad una riduzione dei tempi di produzione, procurando un vantaggio competitivo all’impresa e garantendo profitto e stabilità.

La giurisprudenza di Cassazione aveva, dunque, riconosciuto la tutelabilità del know-how ai sensi dell’art.623c.p., tuttavia, rimaneva problematica la definizione del rapporto tra la norma penale e l’art.98 c.p.i., producendo orientamenti non sempre univoci riguardo all’opportunità di interpretare la fattispecie penale alla luce della nozione e dei criteri definitori di “segreto commerciale” contenuti nell’art.98 c.p.i. Il merito della sentenza di Cassazione n.16975 del 4 giugno 2020 , in tal senso , è stato quello di aver chiarito in modo dirimente il rapporto fra le due norme, ribadendo l’indipendenza e la complementarità nella loro applicazione, nonchè la diversità della ratio sottesa alle due forme di tutela. In questo modo, tale orientamento è stato funzionale ad una ridefinizione della valenza della tutela penale del segreto industriale e commerciale, considerata fino ad ora come residuale.

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Le tutele del “segreto commerciale” (art.98 c.p.i e art..623 c.p.)

L‘art.98 comma 1 del codice della proprietà industriale, così come riformato dall’art.3 comma 2 d.lgs. n. 63/2018, fissa i canoni che qualificano il segreto commerciale, definendolo come le” informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore”. Tali informazioni inoltre devono rispondere a tre requisiti stabiliti dallo stesso comma 1:

“a) siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore”;

“b) abbiano valore economico in quanto segrete”;

“c) siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.”.

L’art.98 C.p.i è, dunque, una norma volta alla tutela del patimonio di impresa dalla concorrenza sleale operata mediante l’impiego e o la divulgazione di informazioni costituenti un segreto commerciale, sia che tale utilizzo illecito sia fatto da un’altra impresa (persona giuridica) che per opera di un privato (persona fisica). La valenza illecita dell’impiego delle informazioni è legata all’uso colpevole o all’ignoranza colpevole riguardo alla loro segretezza, escludento, pertanto, solo quei casi in cui l’impresa o il privato abbiano agito incolpevolmente ed in buona fede.

Per quanto riguarda la tutela penale, lart 623 c.p dispone al comma 1 che:

“Chiunque, venuto a cognizione per ragione del suo stato o ufficio, o della sua professione o arte, di segreti commerciali o di notizie destinate a rimanere segrete, sopra scoperte o invenzioni scientifiche, li rivela o li impiega a proprio o altrui profitto è punito con la reclusione fino a 2 anni”

Al comma 2 invece la stessa sanzione è estesa a:

“chiunque, avendo acquisito in modo abusivo segreti commerciali, li rivela o li impiega a proprio o altrui profitto”.

Al comma 3 è previsto un aumento di pena nel caso in si utilizzino strumenti informatici.

La norma penale si distingue dalla quella industriale, oltre che per la diversità della ratio anche per i requisiti dell’informazione segreta. Riguardo al primo aspetto, a differenza dell’art.98 c.p.i., l’art. 623 c.p., è volto non solo a tutelare l’impresa e il suo patrimonio dalla concorrenza sleale ma anche a punire colui che trae profitto dall’uso delle informazioni segrete (comma1;2). Per altro verso, per ciò che concerne i requisiti dell’informazione segreta, la Cassazione aveva già stabilito in diverse pronunce che, ai fini della tutela penale assumono rilevanza anche le combinazioni di tecniche e prassi che pur non essendo segrete o innovative se considerate singolarmente, ove poste in una certa sequenza, fomano il modus operandi di una impresa che risulta vitale per la continuità del profitto e della competitività della stessa. In sostanza, non è richiesto che la scoperta o le conoscenze applicate abbiano i requisiti per la brevettabilità, non rilevando, ai fini dell’accertamento penale, elementi quali la novità o l’originalità cosi come delineati dalla disciplina industriale in tema di brevetto. (Cass. V, n. 11965/2010; Cass. V, n. 25174/2005).

La sentenza della Cassazione, Sez. Penale, n. 16975 del 4 giugno 2020

Fatto

La vicenda oggetto della pronuncia della Cassazione riguarda la condanna per il reato di cui all’art.623 c.p. a carico di alcuni ex dipendenti di una società che progtta apparecchiature meccaniche, per aver impiegato il know-how e le istruzioni di programmazione di un software ed un firmware nella creazione di una complessa chiave dinamometrica, avendo acquisito queste conoscenze durante l’esperienza pluriennale nella società danneggiata e mettendole a servizio di una impresa concorrente, favorendo così lo sviluppo, in tempi sensibilmente inferiori, di un prodotto analogo, ad altissimo standard tecnologico. Oltre che ai sensi dell’art. 623 c.p., i dipendenti avevano ricevuto una condanna in primo grado per la duplicazione abusiva di programmi per elaboratore, di cui all‘art. 171-bis l. 633/1941, reato poi escluso nella sentenza di appello.

Ricorrendo in Cassazione, gli ex dipendenti avevano rilevato, fra i diversi motivi di illegittimità, due principali questioni:

1- Nella nozione di “know how”, così come intesa dagli artt. 623 c.p.,art. 98 c.p.i e 2 n.1 della Direttiva UE 2016/943 (in tema di know-how e protezione delle informazioni commerciali riservate), non poteva essere ricompreso il processo produttivo oggetto del giudizio, in quanto il software risultava commercializzato e reso pubblico. In questo senso, la mera duplicazione del codice informatico non avrebbe configurato un impiego illecito delle conoscenze, secondo quanto stabilito dall’art. 623 c.p., bensì il reato di duplicazione abusiva di programma ai sensi del art. 171-bis l. 633/194, da cui i dipendenti cui erano stati precedentemente assolti in appello.

2- Qualificando il processo come know-how, e trascurando la valenza integrativa dell’art.98 c.p.i. rispetto alla norma penale, le motivazioni delle pronunce di primo grado e di appello , non avevano tenuto conto dei tre che criteri l’articolo 98 c.p.i. impone ai fini della tutelabilità della segretezza.

Diritto

La Cassazione, rigettando le argomentazioni dei ricorrenti ed in accoglimento delle pronunce dei giudici di merito, ha stabilito, in primis, che l’oggetto della contesa non fosse il software in sè ma l’esperienza di sviluppo e, conseguentemente, che il know how che si intende tutelare non consistesse nella mera conoscenza del processo di programmazione che permette di duplicare il software, quanto nella esperienza maturata dai dipendenti che permette di svilupparlo in tempi molto inferiori, producendo un vantaggio per l’impresa che ne beneficia in termini di competitività e convenienza nel rapporto investimento-profitto.

Riguardo al secondo motivo, ovvero la relazione fra i tre requisiti dell’art.98 c.p.i e la tutelabilità del segreto commerciale a norma dell’art.623 c.p., la Suprema Corte ha fornito una distinzione dirimente dell’ambito di applicazione delle norme, plasmando una definizione più elastica di segreto commerciale in riferimento alla norma penale.

Rigettando la motivazione delle parti, la Corte ha, infatti, rilevato che l’effettuare un rinvio ai criteri di cui all‘art.98 c.p.i. equivarrebbe a considerare arbitrariamente la norma industrialistica come integrativa del precetto penale, configurando problemi riguardo al rispetto dei principi di legalità e tassatività, in quanto nella lettera dell’art 623 c.p.i. manca un riferimento letterale ed esplicito all’art.98 c.p.i.. Inoltre, la Corte ha ribadito che l’estensione della nozione di segreto commerciale oltre i requisiti di brevettabilità – operata già in precedenza dalla giurisprudenza – risulta indicativa della diversa ratio delle due norme, essendo quella industrialistica volta alla salvaguardia della concorrenza e del patrimonio industriale, e qualla penale allo scopo ulteriore di perseguire le condotte di dipendenti scorretti che impieghino informazioni segrete con finalità di profitto.

Nella nuova interpretazione della Cassazione, dunque, la nozione di “segreto commerciale” che rileva ai sensi dellart.623 c.p. non risulta circoscritta ai tre requisiti dell’art.98 c.p.i. (segretezza; valore economico; misure adeguate a mantenerla segreta) ma comprende anche “tutte quelle ulteriori informazioni su produzioni industriali e programmi commerciali pur non rispondenti ai suddetti requisiti normativi, per le quali sia individuabile un interesse giuridicamente apprezzabile al mantenimento del segreto” (Cass., Sez. V, n.16975 del 4 giugno 2020). Nel caso di specie, dunque, a nulla è rilevato che il software ed i codici fossero pubblici, in quanto la Corte ha considerato che l’esperienza specifica maturata dagli ex-dipendenti nella programmazione fosse degna di tutela e segretezza, laddove aveva favorito un concorrente nello sviluppo di un prodotto analogo in tempi sensibilmente più brevi, garantendo una riduzione dei costi ed un conseguente vantaggio sleale rispetto all’ impresa in cui gli ex dipendenti avevano maturato le conoscenze, posto che quest’ultima, per contro, aveva impiegato tempi maggiori e sostenuto costi più esosi di sviluppo.

Conclusioni

In conclusione, la pronuncia ha esteso l’operatività dell’art.623 c.p., ampliando la nozione di “know-how” e di segreto tutelabile penalmente, escludendo l’applicazione i criteri dell’art 98 ai fini della qualifica di una informazione come “segreto commerciale c.p.i. e ribadendo l’irrilevanza dei requisiti di brevettabilità ai fini dell’accertamento penale. In un primo corso di interventi della Corte, in superamento dei requisiti di brevettabilità, venivano valorizzate le combinazioni di tecniche e prassi che pur non essendo segrete se considerate singolarmente, ove poste in una certa sequenza, costituivano un modus operandi originale e vitale per il profitto e la competitività all’impresa. L’estensione ulteriore della tutela del know how operata dalla sentenza n. 16975/2020, escludendo definitivamente il richiamo alla nozione di segreto industriale dell’art art.98 c.p.i., ha ora garantito anche la punibilità delle condotte scorrette degli ex dipendenti che impieghino la propria esperienza specifica a favore del concorrente, avvantaggiandolo sui costi e sulle tempistiche, a parità di prodotto sviluppato.

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Autore: Alessandro Bilancia
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