concorso di colpa dell'investitore

La Giurisprudenza di Legittimità sul concorso di colpa dell’investitore

La Giurisprudenza di Legittimità sul concorso di colpa dell’investitore: Ad oggi, l’esercizio della prestazione di servizi di investimento da parte degli intermediari finanziari può comportare un danno diretto all’investitore. Quest’ultimo ha diritto al risarcimento del danno qualora essi non abbiano rispettato gli obblighi e i doveri indicati dalle norme di tutela specifiche del Regolamento Consob e TUF. Uno degli obblighi principali e fondamentali, per risolvere uno dei c.d. problem agency che intercorre tra l’investitore e l’intermediario, è l’obbligo di trasparenza e di informazione verso il cliente-investitore.

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La Suprema Corte è granitica nel riconoscere il risarcimento del danno verso il cliente che ha subito un danno patrimoniale a seguito di un inadempimento da parte dell’intermediario verso i suoi specifici obblighi e doveri.

 Nella prassi, quando i clienti retail od operatori qualificati oppure clienti professionali effettuano un’azione di risarcimento dei danni verso gli intermediari, quest’ultimi tendono quasi sempre ad attenuare la responsabilità dell’intermediario in base all’avvenuto concorso di colpa ai sensi dell’art. 1227 c.c. Il fine di ciò, è quello di diminuire il quantum risarcitorio oppure in casi estremi ad azzerare la pretesa.

Partendo dall’analisi normativa, l’art. 1227 c.c. indica “se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.”.

Sulla questione, la Corte di Cassazione[1] ha enunciato, con la sentenza n. 29864/2011, i principi di diritto che distinguono in due piani il danno procurato all’investitore. Il primo è sulla produzione del danno, e il secondo sulla determinazione e liquidazione del danno. Come specificato dalla Medesima, il c.d. “concorso di colpa” dell’investitore può solo che riguardare esclusivamente la fase della produzione del danno, e si desume dallo stesso testo dell’art. 1227 c.c., che al primo comma fa riferimento all’ipotesi in cui il fatto colposo del creditore abbia “concorso a cagionare il danno“. E sotto questo profilo, nel caso analizzato, i Giudici di Legittimità hanno escluso che si possa configurare il fenomeno disciplinato dall’art. 1227 c.c. nel caso in cui l’investitore dopo aver acquistato dei prodotti finanziari ad alto rischio, in difetto delle dovute informazioni da parte dell’intermediario, non si sia informato attraverso la stampa specialistica[2].

Su altro piano si pone il secondo principio, riferibile al momento successivo alla produzione del danno e concernente la determinazione e la liquidazione del pregiudizio in concreto prodottosi.

Per determinare il danno prodottosi è necessario individuare il momento in cui gli obblighi in capo all’intermediario cessano e il momento in cui l’onere di agire secondo l’ordinaria diligenza sorge in capo all’investitore.

La Suprema Corte[3] sottolinea che nel momento in cui il cliente acquista dei prodotti finanziari, egli ha diritto di fare affidamento sulla professionalità dell’intermediario, sul quale incombono specifici obblighi informativi. Tali obblighi permangono in base al servizio svolto dall’intermediario. La Suprema Corte precisa che, nel caso in cui la banca presti un servizio di negoziazione titoli, e non di gestione portafoglio, viene escluso un permanente obbligo informativo successivamente all’acquisizione di titoli da parte dell’investitore. Infatti, dal momento in cui i titoli acquistati dall’investitore entreranno nel suo patrimonio, cesseranno tutti i difetti di informazione imputabili all’intermediario. Dato che l’investitore dovrà adoperare l’ordinaria diligenza cui ciascuno è tenuto nella gestione del proprio patrimonio. Per ciò, nel caso in cui la banca-intermediario abbia prestato solamente il servizio di negoziazione, il risarcimento del danno dovrà essere determinato in base alla diminuzione del valore dei titoli tra il momento dell’acquisto e quello in cui l’investitore si è reso conto, o avrebbe potuto rendersi conto, del loro livello di rischiosità.

 La Giurisprudenza di Legittimità[4] ha riconosciuto ampiamente la circolarità dei rimedi previsti dal legislatore per colmare l’asimmetria informativa che caratterizza la posizione delle parti contraenti nell’intermediazione finanziaria. Infatti, si è esclusa la possibilità per l’intermediario di invocare l’attenuazione della sua responsabilità, ex art. 1227 c.c., qualora sia rimasto inadempiente agli specifici obblighi informativi previsti ex lege. Nello specifico, non è concessa l’attenuazione ex art. 1227 c.c. nel caso in cui l’investitore non abbia condiviso i suggerimenti da lui ricevuti dopo l’esecuzione dell’ordine di acquisto ed entro il termine di scadenza dell’investimento, atteso che tale condotta non comporta un’esposizione volontaria ad un rischio, né viola una regola di comune prudenza[5].

In particolare, la Corte di Cassazione sottolinea che non è configurabile alcun concorso di colpa dell’investitore nella produzione del danno quando l’intermediario abbia dato corso all’acquisto di titoli ad alto rischio senza adempiere ai propri obblighi informativi verso la clientela retail[6]. Ed infatti, lo speciale rapporto contrattuale che intercorre tra il cliente e l’intermediario implica un grado di affidamento del primo nella professionalità del secondo, che non può essere sostituito dall’onere per lo stesso cliente di assumere direttamente informazioni da altra fonte[7].

Diversamente, può ravvisarsi un concorso di colpa dell’investitore nella sola peculiare ipotesi in cui questo tenga un contegno significativamente anomalo, ossia ometta di adottare comportamenti osservati delle regole dell’ordinaria diligenza od avalli condotte del promotore devianti rispetto alle ordinarie regole del rapporto professionale con il cliente e alle modalità di affidamento dei capitali da investire, così concorrendo al verificarsi dell’evento dannoso per inosservanza dei più elementari canoni di prudenza ed oneri di cooperazione nel compimento dell’attività di investimento[8].

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In conclusione, i Giudici di legittimità[9] hanno specificato che spetterà al giudice di merito la facoltà di verificare, nel caso concreto, se il comportamento del cliente-investitore abbia violato le regole di più elementare prudenza e se abbia dato causa e in che misura al danno prodottosi. Inoltre, ribadiscono che l’esistenza di regole di protezione e l’affidamento nei confronti del promotore non esentano il soggetto tutelato dall’obbligo di rispettare, quanto meno, le più elementari regole di prudenza nei rapporti commerciali e non giustificano l’attuazione di comportamenti imprudenti che non concernono all’intermediario di esercitare agevolmente i compiti di vigilanza e controllo che le sono propri. Di fatti, il rapporto che intercorre tra l’intermediario e l’investitore, il c.d. “family banker”, è pur sempre un rapporto di tipo professionale. Ne consegue che si configurerà un concorso di colpa dell’investitore se il suo comportamento violerà i più elementari canoni di prudenza ed oneri di cooperazione nel compimento dell’attività di investimento.

Riassumendo in tre punti, la Giurisprudenza di Legittimità afferma che il concorso di colpa:

  • Non si configura se l’investitore è un cliente retail e l’intermediario è in difetto degli obblighi informativi secondo il t.u.f. e il Regolamento Consob;
  • Si configura se l’investitore ha contribuito al danno attraverso comportamenti anomali, violando le più elementari regole di prudenza nei rapporti di tipo professionale;
  • Può in ogni caso essere verificato dal giudice di merito, in base al caso concreto, quanto il comportamento del cliente abbia inciso sulla conformazione del danno.

Dott. Vito Quaglietta


[1] Cass. Civ., n. 29864/2011.

[2] Secondo la tesi della banca, l’investitore si sarebbe dovuto informare tramite i mezzi di stampa seguendo l’ordinaria diligenza di chi acquista strumenti finanziari ad alto rischio.

[3] Cass. Civ., n. 24595/2019.

[4] Cass. Civ., n. 5089/2016; Cass. Civ., n. 26191/2017; Cass. Civ., n. 22605/2017; Cass. Civ., n. 4727/2018.

[5] Cass. Civ. n. 17333/2015.

[6] Cass. Civ. n. 26064/2017.

[7] Cass. Civ. n. 29864/2011.

[8] Cass. Civ., n. 13259/2009; Cass. Civ., n. 18613/2015.

[9] Cass. Civ., n. 18613/2015.

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Autore: vito quaglietta
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